MARIANNA SAMBIASE
NON DIMENTICARTI
Mostra fotografica di Marianna Sambiase
Nell’ambito di ALZHEIMER FEST 2024
21 - 22 Settembre 2024
NON DIMENTICARTI
Questa mostra è dedicata a tutti coloro che - per necessità o per curiosità - desiderano capire qualcosa in più sull’Alzheimer, desiderano andare oltre uno sguardo generico, e approfondire direttamente, perché non c’è nulla di peggio di un’osservazione ‘distratta’ sull’Alzheimer, perché la ‘distrazione’, quando si parla di Alzheimer, è deliberata. Dell’Alzheimer tutti abbiamo paura, perché tutti sotto sotto pensiamo al giorno in cui potrebbe toccare a noi: e allora manteniamo la distanza.
Se proprio ci capita di accennarne in una conversazione, troviamo liberatorio dire: “Piuttosto un incidente, ma non l’Alzheimer”, “Se mi dovesse capitare, lasciatemi perdere”, etc.
E quando capita a un nostro famigliare, a una persona con cui abbiamo vissuto poca o tanta vita assieme, la distrazione improvvisamente cede il posto al dolore, alla rabbia, al senso di colpa, al rimpianto: tutte reazioni comprensibili e profondamente condivisibili, ma che ci tengono di nuovo “distratti”. Perché questa paura nasce da una visione sostanzialmente disumanizzante dei pazienti affetti da Alzheimer.
La sensazione di disumanizzazione causata dall’Alzheimer deriva dal connubio di tre fattori. Il primo fattore è la cronicità: in un mondo che ci sta ‘abituando’ alla reversibilità degli eventi, dei processi, dei cicli biologici, delle relazioni, l’Alzheimer resta ostinatamente una patologia inguaribile, la manifestazione di una “deviazione inesorabile” che non solo non si potrà più cancellare ma che progressivamente si insinuerà nel profondo.
Il secondo fattore è la perdita delle facoltà cognitive, ovvero di ciò che le società contemporanee ritengono sempre più essere il tratto distintivo dell’umano, fino a postulare nei casi più estremi la coincidenza tra “ragione” e “umanità”, escludendo concettualmente i malati di Alzheimer da un contesto propriamente ‘umano’. Se da un punto di vista strettamente fisico/fisiologico, si tratta della malattia forse meno dolorosa in assoluto, tuttavia è proprio questa caratteristica che la rende più temuta in assoluto.
Il terzo fattore - il più profondo di tutti e che più profondamente rifiutiamo - è la trasformazione individuale delle persone affette da Alzheimer: il nostro sgomento nasce dalla sensazione di irriconoscibilità, dall’esperienza di una sorta di ‘frattura’ radicale dell’essere, che ci fa sembrare estranee persone che fino a ieri erano nostre intime e che ora appaiono - nei loro modi quotidiani, routinari, espressivi, relazionali - dei marziani. Questo progetto scaturisce proprio dalla fine di questa riflessione, dal suo punto di massima tensione, ovvero il dilemma estremo su soggettività e umanità, per ricostruire tutta la ‘narrativa’ dell’Alzheimer con una provocazione: accettiamo cioè di avere a che fare con con persone diverse, con mondi a noi sconosciuti. Tagliamo il filo doloroso che lega la loro vita attuale alla loro esistenza passata, accettiamo radicalmente la frattura, con coraggio e curiosità. Solo così potremo riafferrare la profonda umanità di questa condizione.
Solo così possiamo entrare davvero nei mondi dell’Alzheimer.
L’intento è quello di afferrare - isolando l’immagine dal contesto e di nuovo concentrando l’attenzione del visitatore su una sola dimensione, quella del gesto - la verità dell’Uomo di Alzheimer.
Dove la mente perde terreno, il corpo riconquista lo spazio, lo riempie. Nella manualità, nella gestualità, nella relazione con il contesto, il corpo del paziente mostra improvvisamente una espressività aumentata, talvolta intensa, talvolta teatrale, talvolta disinibita, ma sempre straordinariamente significativa, in grado forse di mostrare più direttamente il cuore dell’essere uomini.
Marianna Sambiase